La mezzadria

La mezzadria fu un fenomeno complesso che si può delineare attorno a tre pilastri: un contratto lavorativo; dei sistemi di organizzazione del territorio; un sistema sociale. Certo una formula in continuo divenire: diversa da luogo a luogo in base anche alla caratteristiche dei terreni e che si è protratta lungo un arco temporale di molti secoli, dal XI al XX.    

Il contratto nella sua forma piú comune era quello tra proprietari e coloni: i primi potevano essere anche istituzioni (ad esempio: enti religiosi) e mettevano i capitali e la proprietà di partenza; i secondi, rappresentati spesso da un capo-famiglia che impegnava il suo intero gruppo, portavano la forza lavoro e le conoscenze di cui erano depositari (oggi si direbbe il know-how). I prodotti agricoli che ne derivavano erano divisi piú o meno alla pari (con un frequente privilegio al proprietario).  
Dal punto di vista spaziale, la mezzadria prendeva forme specifiche a seconda della tipologia geo-morfologica dei terreni e della vicinanza o meno ai centri maggiori; ma anche in considerazione della densità e tipologia socio-economica della popolazione.
Le campagne, e spesso i borghi e paesi di riferimento, erano spazi organizzati attorno alle esigenze di quel mondo. Anche qui nascono aspetti tutt’oggi evidenti del paesaggio ‘toscano’, soprattutto di quello collinare: ecco infatti i casolari in cui abitavano le famiglie di coloni, alti sulla cima delle colline per proteggerli dall’erosione, dall’instabilità dei terreni.  Ecco il rapporto spaziale tra quelle poche case sparse e i loro ‘poderi’,  ovvero le unità territoriali affidate alle cure di un gruppo di mezzadri. Ecco anche il tipico paesaggio del ‘podere a mezzadria’, con coltura promiscua, tanto caro ai viaggiatori dei secoli precedenti: una varietà di grande fascino, con piantagioni arboree (ulivi, alcuni alberi da frutto), arbustive (la vite), appezzamenti cerealicoli piú o meno estesi, piccoli pascoli e macchie di bosco ceduo, sistemazioni idrauliche e forestali dello spazio agricolo pervasive soprattutto in vicinanza delle città. Tipica della mezzadria, poi, anche la fitta rete di strade rurali che collegava i poderi.

La mezzadria era senz’altro anche una società, un sistema complesso di rapporti umani. Un mondo al cui interno trovavano posto i bisogni piú universali: creare legami, comunicare, divertirsi… Un mondo ricco di ruoli sociali caratteristici, sia quelli tipici della ‘famiglia mezzadrile’, sia quelli della società attorno ad essa: il capoccia, il fattore, la massaia, il troccolone, il padrone… Come anche di situazioni sociali tipiche: la veglia, la battitura, i matrimoni ‘rustici’… 
Anche dal punto di vista linguistico questo era un mondo ricchissimo di parole, di suoni, di fraseologia, tutti elementi che l’italiano dei classici, così poco interessato alla cultura materiale, per lo piú non registrava, pur avendo origine da varianti toscane. 

Infine, sarà utile ricordare la rapida fine di quel mondo, interrogarsi sul suo lascito, soprattutto su quello ambientale e sulle più sfuggenti eredità culturali. La mezzadria, intanto, non ha quasi lasciato tracce e documenti scritti: abbiamo soprattutto tardi diari e fonti amministrative, come registri e cabrei. I mezzadri erano in grandissima parte analfabeti. Ma c’è stato anche un fenomeno di (auto)occultamento, soprattutto nel passaggio determinante tra anni Cinquanta e Settanta, alla cui origine ci sono elementi socio-culturali: i mezzadri hanno vissuto per secoli lo stigma, la vergogna, la soggezione della loro condizione di fronte a gruppi sociali forti, che trasformavano le differenze culturali in forme di controllo e subordinazione.    
Il Teatro Povero, in una delle sue fasi più caratteristiche, ha voluto scoprire e riappropriarsi proprio di questo lascito, di quel mondo, della sua storia e della sua dignità.         

testo a cura di Gianpiero Giglioni  

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