Falci

1997

Quando sul finire degli anni ’50 i contadini abbandonarono i poderi, lasciarono poche tracce dietro di sé: un mirabile paesaggio modellato dal lavoro di secoli, case destinate a diventare orbite vuote senza luce di vita e una piccola messe di oggetti dimenticati e abbandonati all’ultimo momento con un gesto non sai se di odio o di amore, di dispetto o emancipazione. Sono questi “oggetti” i protagonisti dello spettacolo 1997.

E quando il tempo aggredisce una falce, ne corrode la sostanza materiale, ne adultera le modalità di uso e rende sbiadito e insignificante il gioco dei rimbalzi della memoria, allora vien fatto di pensare che qualcosa di irreparabile si sia consumato, che la fragile linea di continuità fra presente e passato sia come interrotta, che i segni e le forme di un mondo carico di suggestioni si vadano perdendo senza speranza di risucchio degli anni. Ma quando la fitta al cuore si fa più acuta c’è sempre qualcuno che non demorde, che si ribella ai più plateali processi, né si rassegna ai semplici confronti museali, sempre un po’ incerti e vagamente pedanti. Costui dal filo della falce si sente trafitto, provocato, acceso dall’esigenza di restituire all’oggetto della memoria dignità e vita. È l’avventura del teatro sul quale non può non interrogarsi, affascinato dalla sua potenza rivitalizzante, ma anche dolorosamente colpito dalla sua labilità, che lo condanna a non coincidere ma, con la vita, ambiguo e affascinante moto dell’anima, breve, purtroppo, e, forse, alla fine, addirittura perdente… tanto da indurre persino alla tentazione di rinunciarvi… se non esistesse da queste parti la convinzione che per pochi di questi momenti vale la pena di sottoporsi a una lunga fatica…

Lo spazio scenico

La scelta di utilizzare uno spazio scenico diverso da sempre, cambiando le regole di una consuetudine ormai trentennale che vedeva le due piazze destinate, rispettivamente, l’una a palcoscenico e l’altra a platea, è maturata riflettendo sui contenuti e sulla impostazione di questo spettacolo. Il tema della memoria affrontato centralmente, poneva l’esigenza, infatti, di proporlo non su un piano scenografico che avesse una connotazione precisa: la piazza con lo sfondo armonioso di quinte naturali e accattivanti ad esempio, ma di svilupparlo come un racconto che si ferma, sera dopo sera, solo casualmente dinanzi agli occhi del pubblico per proseguire subito dopo e riproporsi ad altri ed altri ancora.

Ecco allora che il palcoscenico, nella sua composizione e nel suo singolare sviluppo, può suggerire una strada. Può somigliare al segmento di un percorso senza inizio né fine dove prende corpo e matura una riflessione collettiva consapevole e sofferta sempre in bilico fra realtà e finzione.

Può diventare il luogo in cui si rivelano all’improvviso i “segni” del passaggio di un mondo ormai scomparso ma può anche essere infine e contemporaneamente, tutte queste cose.

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