Il paese dei b(a)locchi

2008

Prima o poi potrà capitare che i responsabili della cosa pubblica, dopo decenni di indifferenza decidano di prendersi a cuore il destino dei piccoli centri sperduti tra le sacche immobili della storia e della natura, diventati quasi invisibili nella giungla invadente e intrigata dell’oblio e della emarginazione.

E non mancherà di certo qualcuno che custodisca non solo un tesoro di ricordi ma anche una raccolta di oggetti che raccontano un passaggio importante della storia, materiali di uso e persino balocchi, fatti per passione o passatempo, concrezioni inalienabili della vita e della memoria.

Ugualmente non è impossibile che succeda che un “complesso” capace in tante occasioni di dar voce ed espressione ai sentimenti della comunità si trovi inspiegabilmente “senza fiato” nel momento di accompagnare l’apertura di una cerimonia in cui si ripongono molte speranze.

Da questo mix “fantasociologico” (ma non tanto) prende l’avvio lo spettacolo 2008 del TPM. In forme surreali si sviluppa una vicenda fatta di sospensione, di disagio che fotografa con apprensione e irriverenza con trepidazione e dileggio una particolare situazione di attesa.

Succederà forse che attraverso strade che si snodano fra memoria e modernità non  si trovi il modo di compiere il miracolo di materializzare un oggetto della memoria ricomponendo e dando nuova vita alle “sparse membra”di un Pinocchio contadino gelosamente custodito dal nostro collezionista.

Un collage di eventi esemplari della vicenda del burattino che tutti abbiamo imparato a conoscere fin dall’infanzia permetterà di intravedere una via di uscita, ennesima metamorfosi del borgo di cui Pinocchio è la metafora. La continua oscillazione fra speranza e delusione, fra sincerità e menzogna, fra buone intenzioni e rovinose cadute, che rendono tanto “umana” la vicenda del burattino, permettono allo spettacolo di approdare ad un finale dove è possibile uscire dall’afasia ricollocando al giusto posto cose e persone, promesse e realizzazioni, attese e delusioni, dove il soggetto collettivo, non più afono, si avvia ad una nuova articolazione della “espressività”, non retorica, non scontata, non calata dall’alto, dove fra disincanto e fiducia possa acquistare forma una “invenzione di futuro”, magari modesta, ma appoggiata sul recupero equilibrato e maturo di una memoria “ben temperata”.

 

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