Cavalieri della non rotella

1989

Il tema della diversità è uno dei più ricorrenti fra le grandi discussioni che animano la società italiana contemporanea, soprattutto nel versante dell’alienazione mentale.

Il Teatro Povero di Monticchiello lo affronta non per adeguarsi, ma perché lo sente, appunto, in quel versante, pieno di sollecitazioni e congenialità con la condizione contadina ed ex contadina (oggi). E secondo la sua formula. Così il primo tempo è collocato temporalmente e spazialmente nella famiglia mezzadrile del suo periodo più spiccante: c’è il “matto”, personaggio che, in campagna, era un po’ come “lo scemo” del villaggio o del paese. La rappresentazione ne coglie i significati più sottili: una follia quasi consapevole e quasi voluta, una poeticità struggente, un’umanità senza parole, spesso affidata al canto. Altrettanto emblematico è l’atteggiamento dei parenti, in quell’atmosfera di podere che nella piazza di Monticchiello ormai da oltre un ventennio magicamente si ricrea e si invera.

Il secondo tempo si svolge nell’epoca attuale, anzi, oggi e più domani. E ancora una volta si evita l’approfondimento e la discussione, per privilegiare la rappresentazione, il teatro (che è, nuovamente, teatro nel teatro), la trasfigurazione scenica in chiave ironicamente autocelebrativa e drammaticamente riferita alla condizione degli O. P. (dimessi dagli ospedali psichiatrici dopo la legge 180).

La diversità prescinde dalle cronache e dalle polemiche, in questo autodramma di Monticchiello che Andrea Cresti insieme a Marco Del Ciondolo, Maria Rosa e Vittorio Innocenti ha steso raccogliendo i doni di collaborazione di tutti i Monticchiellesi ed ha diretto con quell’armonia che è ormai la dote classica del teatro povero di Monticchiello.

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