COLÒNI, 57° autodramma del Teatro Povero
Epopee e speranze in diversa scala. Pur avendo iniziato da un paio d’anni a farsi le ossa nelle piazze, la prima rappresentazione in cui il Teatro Povero prese il volo fu la notte del 20 luglio 1969; per coincidenza, fortuita e significativa, proprio nelle ore dello spettacolo tre astronauti portarono allora per la prima volta l’umana curiosità a spasso su un suolo, quello lunare, mai prima di allora calpestato. L’allunaggio fu salutato ovunque come una potenziale premessa a un’epoca di grandi conquiste: ancora una volta, quelle “magnifiche sorti e progressive” parevano doversi avverare. Allo stesso modo, cambiando prospettiva dal grande al piccolo, un medesimo ottimismo sembrò sbocciare dal teatro in quel piccolo borgo della Val d’Orcia, allora valle spopolata e desolata, lunare davvero, con le sue crete da secoli lavorate e a malapena ingentilite da stuoli di mezzadri sofferenti ma operosi. Speranze, e poi inesorabili disillusioni: perché l’epoca seguente porterà sì meraviglie, ma anche, purtroppo, nuove sofferenze, nuove storture, nuove strozzature dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura. Ma venendo all’oggi, in mezzo a un’apparentemente appagante eccedenza di merci, consumi e feticci, comincia a farsi strada un vago senso di troppo, cui si accompagna la percezione dell’incombere di una qualche forma di ritorsione per il di più, per la bulimia, per un tracimare ossessivo che pare diventato regola comune e unica di vita: sono scricchiolii di allarme che vengono dalla natura e dal clima, e che molti del resto preferiscono ignorare o direttamente negare in modo risoluto.
Eppure: se qualcosa davvero dovesse andare storto, se un domani fossimo costretti a una più radicale, estrema, definitiva partenza, a un abbandono coatto della propria terra come quello cui furono obbligate generazioni di mezzadri, così come oggi tanti esseri umani sperimentano per aver avuto in sorte di nascere in un altrove meno fortunato, ebbene, solo allora, forse, saremo in grado di porci infine il quesito: cosa voglio portare con me? Di cosa ho davvero bisogno? A cosa non posso rinunciare? Di quale superfluo non posso fare a meno, affinché non debba ridurmi all’essenziale?
Colòni, ieri come oggi, in marcia.