2021. Nella nostra cronologia pubblica condivisa, ancora un anno di speciale tensione, di difficoltà e dolori, di interrogativi sul futuro più o meno immediato; un anno ancora, poi, di stancante compressione della dimensione sociale delle nostre vite, teatro compreso: una “compagnia di comunità”, come la nostra, vive di incontri e assemblee, scambi e scontri, passioni, sforzi da attraversare assieme… Percorsi per elaborare conflitti e per costruire, infine, un senso condiviso del proprio vissuto, la trama leggera dello stare assieme. In fondo, la vera ragione del nostro esserci.
Nonostante tutto, dunque, un obiettivo essenziale: tornare in piazza, non arrendersi alle difficoltà; celebrare ancora una volta questo rito per noi prezioso, realizzare il nostro nuovo autodramma…
Inneschi, 55° autodramma del Teatro Povero
“La casa brucia”, ha detto qualcuno. Cosa accadrebbe, allora, se proprio dalle fondamenta di una casa, sullo sfondo di una natura che sembra arrabbiata, incattivita, pronta a mordere e rabbiosa, emergesse improvvisamente un rischio davvero mortale, un pericolo che accomuna tutti? Eccolo, dunque, concreto e ineludibile come può essere un ordigno, il frutto avvelenato di un passato che rende incerto il futuro, che incombe sul presente; eppure, fino all’ultimo, per lo più rimosso e taciuto… Eredità spiacevole, certo, che inevitabilmente avvia conflitti latenti tra generazioni, tra chi è venuto prima e chi dopo; risentimenti e recriminazioni cui ormai si stenta a porre rimedio e che nessuna classe dirigente, ottusa magari da miopie di guadagni sterili quanto insensati, sembra più in grado di ricomporre.
Mentre si intravedono così sempre maggiori conflittualità, inneschi ormai vicini al punto di non ritorno, potremo forse allora provare a far tesoro di un attimo di lucida visionarietà, che ci ricordi la capacità di rinsaldare legami interrotti, progettare ancora assieme, assumersi responsabilità che incrociano ieri, oggi e domani; come già è stato, ma come, da tempo, sembriamo aver voluto dimenticare.