“Fola 2004” segna il 38° anno di attività e rappresenta la summa dei dubbi, delle ansie, delle difficoltà che accompagnano da almeno un decennio il tormentato autunno del Teatro Povero; la fase delle inquietudini, delle certezze che si incrinano, delle identità che si affievoliscono e rischiano di diventare evanescenti. Mantenere un legame forte con la civiltà contadina, con la propria memoria, nucleo fondante e vitale dell’intera esperienza, diventa sempre più difficile. Vi si oppongono l’inesorabile scorrere delle generazioni che allontana in maniera inequivocabile il legame diretto e viscerale col passato contadino e ancora di più le rapidissime e profonde mutazioni della società in cui viviamo che tende a sostituire le radici profonde e i sensi di appartenenza, con approdi contingenti ed aleatori, nella convinzione di una “felicità” nuova, perseguibile attraverso ogni sorta di scorciatoie secondo il modello ormai collaudato dell’usa e getta.
Questo è il tema fondamentale dello spettacolo che si coglie in controluce lungo lo snodarsi della “fola di Campriano”. Il filo dell’antico racconto popolare tragicomico e divertente, simbolo del teatro di un tempo, sereno, solare, che ambisce a perpetuarsi in una sorta di eternità senza incrinature, è più volte interrotto e quasi spezzato dall’intrusione di elementi estranei che ne rompono la logica e la continuità. Le voci orgogliose della memoria, le poche voci residue ma ancora vive della civiltà contadina e voci nuove ed estranee ma altrettanto vive e vitali, infrangono l’unità dello spettacolo, contestano la vocazione e la provocazione del silenzio, rompendo la continuità del racconto continuamente e pazientemente riannodato fino alla fine.
Ma ancora per quanto? Da quali angoli di visuale? Con quali nuovi occhi diversi? Lo spettacolo cerca di dare una risposta aiutato in questo anche da un contesto scenico diverso da quello di sempre.