Nel microcosmo di Monticchiello l’attenzione ai fenomeni di costume della società italiana contemporanea scaturisce da un retroterra di memorie e di tradizioni; ed è più acuta che altrove, proprio per questo; e poco più di quattrocento abitanti, dalla loro storia, mai dimenticata o comunque ricavata; traggono l’ispirazione per uno scandaglio nella realtà di tutti, quella di oggi, e nell’utopia, ovviamente di domani.
Che cosa emerge nel mare inquieto delle tendenze, dei gusti, dei comportamenti degli italiani in questi tempi, direi in questo 1984? La mania del gioco, non per divertimento, ma per guadagno; un guadagno che incrementerà il consumo ( vedi precedenti autodrammi del Teatro Povero), ma in alcuni casi ( ancora quello di Monticchiello, nell’autodramma di quest’anno), la fantasia e, ancora!…l’utopia. Un’utopia sull’avvenire, sulla crescita di Monticchiello.
Da questi presupposti è nato “A che gioco giochiamo?”, in un momento in cui una girandola di miliardi veri o presunti piove sui “poveri” italiani attraverso le televisioni di stato e private, il totocalcio e il totip, le scommesse lecite e clandestine, le bische e i casinò mai come ora frequentati.
Fenomeno dei paesi d’inflazione, volgare ma anche fertile di trovate fantastiche. La gente di Monticchiello, quest’anno, ha voluto ragionarci, realistica com’è, con i piedi per terra, ha voluto un po’ seriamente e un po’ ironicamente ( non umoristicamente ) teatralmente rappresentare questo fenomeno circoscritto a una piccola comunità di provincia, anzi, di campagna, una comunità di origine contadina.
Andrea Cresti, ormai abituale raccoglitore e coordinatore di questi fermenti, ha sondato i suoi compaesani e con loro è andato e va in piazza, a ricordare, a conoscere, a sperare, a sorridere; e ha orchestrato lo spettacolo sotto il cielo magico di Monticchiello.