Da che mondo è mondo ad ogni trapasso di civiltà o semplicemente di generazione, gli “anziani” hanno sempre avuto l’impressione che qualcosa di essenziale andasse perduto. O comunque che nel passaggio di consegne a giovani distratti o addirittura irrispettosi andasse smarrito qualcosa di venerando , di sacro. Gesti, parole, modi di vita, “valori” che avevano accompagnato l’esistenza di molti, cessano di essere un orizzonte di vita, perdono la loro carica morale, persuasiva, estetica, emozionale, scolorano e tendono a svanire.
Questo corto circuito generazionale è da tempo che cova nel teatro povero, si insinua in modo più o meno evidente negli ultimi spettacoli, aggirandosi tra scene, copioni, titoli e persino nella vicenda scenica che si compie ogni estate. “Gomiccioli” prende atto di questo stato di cose. Registra con accoramento questo malessere e questo disagio.
Lo smarrimento degli oggetti e dei gesti simbolici si compie con la complicità e l’aggressione della modernità mediatica tutta orientata verso una diversa logica di spettacolo: contamina, sfrutta, “compra”, altera, svilisce. Ma quando anche l’oggetto più povero, più puro, più “emozionante” rischia di essere fagocitato una ragione astuta, una mano lesta, un giocatore di prestigio ingenuo e insieme profetico trafuga l’oggetto sacro, lo occulta, lo sottrae alla contaminazione nascondendolo in un misterioso spazio fisico o in una remota regione della memoria dove prima o poi qualcuno con gesto delicato e commovente avrà la voglia, i mezzi, la passione per resuscitarlo.