Questo può considerarsi il più autodrammatico degli autodrammi che il “Teatro povero” ha messo in scena, nel senso che mai come in questa occasione gli abitanti di questo piccolo paese toscano rappresentano sé stessi nel luogo deputato della loro vita civile: la piazza.
Il titolo è infatti estremamente preciso. Si vuole dimostrare che cosa ha significato la piazza nel passato e nel presente; ed anche che cosa potrà significare nel futuro questo cuore pulsante della comunità borghigiana.
È un atto di memoria e un esame di coscienza insieme che i monticchiellesi compiono a conclusione di quello che considerano un ciclo esaurito della loro ormai più che decennale storia drammaturgica; ciclo esaurito che ne implica ovviamente un altro attualmente allo studio.
Per questo atto di riflessione e di memoria la comunità di Monticchiello ha agito in piena autonomia anche espressiva e in assoluta collettività nel mettere in moto un meccanismo sociale-estetico ormai ben strutturato e libero.
“La piazza” è uno spettacolo cerniera, una specie di epilogo elegiaco della lunga serie di rappresentazioni imperniate sulla società e sulla famiglia contadina ormai praticamente estinte, un epitaffio non doloroso, anche se vagamente nostalgico di una cultura sparita.
Mai come quest’anno la coralità è dominante; le scene di massa si succedono secondo un copione prima parlato e recitato e poi scritto.