IL TEMA DELLO SPETTACOLO
Il podere è elemento essenziale del paesaggio toscano.
Per secoli come un sacrario ha custodito le forme della “civiltà contadina”.
Alcuni decenni fa, sotto l’incalzare dell’urbanesimo e dello sviluppo industriale, rapidissima e fatale la fine: spopolamento, abbandono, rovine; le case ridotte ad orbite vuote senza più luce o suoni di vita.
Poi, poco a poco, la “rinascita”: restauri, trasformazioni, nuova gente spesso venuta da lontano.
Il fascino segreto della ruralità ha mosso gruppi sempre più consistenti a cercare fra antiche architetture e vasti spazi, forme nuove di “vita beata”.
A coltivare e custodire invece che piante e animali un bisogno ancestrale di tranquillità e di raccoglimento.
Nella galassia dei nuovi insediamenti la “terra” non è più elemento di continuità ed unione, ma di discontinuità e separazione; il “campo” un’entità estranea o indifferente, spazio siderale, quasi incolmabile, utile solo alla difesa della propria singolarità.
In questo universo di “monadi” retto da un’ancora insondabile armonia prestabilita, tesa a realizzare l’ultima versione del migliore dei mondi possibili si è consumato e, talvolta, si sta ancora consumando il dramma degli “assediati”.
Sono gli ultimi ostinati rappresentanti del mondo contadino residuale; sorta di ciste umana incarognita nel tessuto rurale, che non intende rescindere le radici che l’hanno legata alla terra, al podere ai riti “eterni” della civiltà contadina; combattuti tra fierezza e attaccamento e le seduzioni del denaro, buonuscita verso la modernità senza volto.
E allora, fra orgoglio, dispetto e ribellione può anche accendersi la luce di un sogno intenso, impossibile ma pervicacemente accarezzato.
Vicenda che tocca ciascuno di noi , in quanto eternamente sospesi fra passato e futuro, e degna certamente di un’ora di spettacolo.