All’alba del terzo millennio staccare il biglietto per il futuro è certamente più difficile per un abitante di un piccolo paese che per quello di una grande metropoli. Per chi possiede un’identità fortemente e orgogliosamente legata al passato, dal paesaggio alle architetture, da i gesti alle parole, il viaggio verso il futuro comporta rischi e lacerazioni ad altri ignote. E tuttavia la tentazione è fortissima, la posta in gioco non eludibile, costerà qualche rinuncia, sacrificio, amputazione, ma non è il caso di tirarsi indietro.
Quovadimus (quasi più una constatazione che una domanda) è lo spettacolo 2000 del Teatro Povero di Monticchiello racconta le ansie, le passioni, le perplessità e i tormenti della gente davanti all’incalzare della modernità.
A guidarli, in questo percorso accidentato e ambivalente sarà, come l’anno passato, una favola antica della tradizione toscana:
La novella di Gianni Stento, giovane sventato e quasi incosciente che non si sottrae, balordamente, a nessuna esperienza, ma che alla fine non sopravvive alla vista del proprio “didietro”, , alla parte segreta, ignota della propria persona.
Novella che la nonna affabulatrice propone all’inizio e ripropone alla fine, quasi indispensabile filigrana attraverso la quale guarda all’avventura del viaggio verso il futuro..