Il disorientamento è il tema dello spettacolo che andrà in scena nel prossimo mese di luglio; lo sconcerto, il disagio che tutti proviamo di fronte ad una realtà che giorno dopo giorno produce un’ansia continuamente crescente, appena velata da apparenze tranquillizzanti. Lo spettacolo si articola in due atti.
Il primo si svolge nel mondo contadino intorno agli anni 50/60, nel pieno di quella crisi irreversibile della mezzadria che, se per un verso provocò nei contadini un senso di liberazione da una condizione di frustrante subalternità, per un altro li colse disorientati o discordi proprio nel momento in cui avrebbero potuto diventare (e non lo divennero nella grande maggioranza dei casi) proprietari di quella terra che per secoli avevano agognato.
Il secondo atto analizza il mondo contemporaneo: opulento, distratto, spesso cinico per abitudine o necessità, capace tuttavia di portare improvvisamente alla coscienza il profondo malessere latente in ciascuno di noi, non appena un richiamo occasionale o imprevisto si presenti provocatoriamente ai nostri occhi o alle nostre orecchie.
Lo spettacolo si articola fra questi due poli storici, solo apparentemente lontani e difformi in realtà imparentati da quello “smarrimento” che così spesso affligge gli uomini in molti momenti cruciali della loro storia e che spesso conduce ad esiti imprevisti o addirittura opposti rispetto alle intenzioni.
Il finale che cerca di individuare uno sbocco, rintraccia in un atavico legame con la creta della Valdorcia”, cioè nel confronto di un radicamento divenuto finalmente operante e cosciente, il “filo di Arianna” per una possibile uscita dal “labirinto”, anche se nella consapevolezza dell’ambiguità fra teatro e realtà, fra “scena” e vita.