In “Zollet”, che può essere considerato un titolo ermetico e ambizioso, e non vuole essere né l’uno né l’altro, l’allusione alla ‘zolla’ in fondo si può trovare. E si può capire l’ironia della storpiatura in chiave di pubblicità industriale.
L’idea dalla quale si è partiti era questa: il risparmio coatto nella famiglia contadina di un tempo, risparmio che aveva la sua ragione ECONOMICA MA ANCHE UNA SUA MOTIVAZIONE ETICA e in contrapposizione ad esso lo spreco altrettanto coatto delle nuove leggi del consumo.
Poi, come sempre succede nella stesura dei testi del Teatro povero, l’idea si è allargata e con essa i contenuti e le tematiche; e l’intenzione si è incarnata nella polpa del fatto teatrale e quindi nella recitazione.
Gli autori-attori e di sé medesimi registi, seppure coordinati sia nella stesura del testo che nel fatto scenico, rievocando il risparmio nei tempi variamente lontani della famiglia contadina mezzadrile, fino agli anni sessanta ( esemplare la lavorazione della carne di maiale) e iperbolicamente ma anche realisticamente disegnando il grafico morale e sociale dello spreco con utopizzazione altrettanto iperbolica, dei paradossi del consumo e della economia industriale ormai anche per la società contadina.
Ne è risultata una felice commistione di realismo e di fantasia ( ma non troppa) di passato, presente e futuribile, di locale e di universale che, anche per la felice recitazione degli attori, ha fatto ridere amareggiare e pensare il pubblico ormai abituato alla coerenza e alle sorprese del teatro di Monticchiello.